Pmi più forti grazie all’Ipo

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Negli ultimi anni, per effetto anche della crisi, è stata una strada poco battuta. Eppure, l’Ipo rimane un valido strumento che le pmi hanno a disposizione per finanziare la crescita e creare valore. Come testimonia anche la seconda edizione dello studio “L’Ipo come mezzo per finanziare la crescita: raccolta di capitale e utilizzo dei proceeds” realizzato da Intermonte – Investment bank in collaborazione con il Politecnico di Milano. Una ricerca che analizza come le società neo-quotate sui mercati azionari regolamentati di Borsa Italiana utilizzano il capitale raccolto nell’offerta pubblica iniziale (Ipo), destinandolo al finanziamento di nuovi investimenti piuttosto che al rimborso del debito esistente. Lo studio, cerca inoltre di dare evidenza empirica anche sull’accoglienza del mercato a seconda delle diverse modalità di impiego dei proventi successivamente all’Ipo, facendo una ulteriore distinzione tra le Ipo avvenute attraverso pura vendita (Opv) rispetto a quelle che hanno fatto anche raccolta di capitali freschi (Ops e Opvs).

“La quotazione rappresenta una fase molto importante del ciclo di vita di un’impresa, spesso accompagnata da profondi cambiamenti – spiega Fabio Pigorini, amministratore delegato di Intermonte e responsabile per le attività di Investment Banking – L’Ipo rappresenta un’opportunità di raccolta di nuovi capitali volti a finanziare investimenti e M&A. Per il successo di un Ipo, però, è fondamentale che un’azienda si presenti al mercato con una struttura dell’offerta coerente con le proprie strategie di crescita. Questo significa che per un’azienda con forti capacità di generazione di cassa e un indebitamento contenuto la raccolta di capitali attraverso un aumento di capitale potrebbe non essere la strada migliore per la quotazione, in assenza di progetti di concreti investimento straordinari, come acquisizioni. La crescita attraverso operazioni di M&A può certamente essere finanziata con un aumento di capitale in fase di Ipo. In questo caso gli investitori tendono a essere molto attenti al track record e alla strategia di crescita esterna dell’azienda, sottoponendo le operazioni di acquisizione, una volta annunciate, a un’attenta valutazione strategica ed economico finanziaria. Gli emittenti – conclude – sono sempre testati ex post dagli investitori sull’uso dei proventi derivanti dalla quotazione”.

 

L’indagine
Il campione di analisi della ricerca è formato dalle 97 imprese che dal 2005 al 2016 hanno condotto un’offerta pubblica iniziale sui listini regolamentati di Borsa Italiana (Mta, compreso il segmento Miv, e il listino Expandi). In 22 casi si trattava di Opv, in cui le azioni erano cedute dagli investitori esistenti, quindi senza raccolta di capitale per le matricole. Negli altri 75 casi parte delle azioni (o tutte) erano di nuova emissione, e quindi la società interessata ha raccolto nuovo capitale di rischio, utile per arricchire le fonti di finanziamento. In aggregato il controvalore raccolto nell’intero periodo è pari a 5,7 miliardi euro, di cui però più della metà fra il 2005 e il 2007. Il periodo di riferimento è infatti nettamente distinto in due diverse fasi, prima della crisi finanziaria e dopo la crisi. Nel 2008 vi è stato un crollo della raccolta, che è tornata a salire solo nel 2014 e nel 2015.

 

La crescita

Dall’analisi c’è un dato che emerge su tutti: per 38 imprese, quindi il 39% del campione, la raccolta di capitale all’Ipo ha consentito quantomeno di raddoppiare il patrimonio netto esistente. Concentrandosi su come il capitale raccolto è stato utilizzato negli anni successivi, un modello di analisi dei flussi contabili di variazione delle fonti e degli impieghi ha consentito di evidenziare un consistente aumento delle immobilizzazioni tangibili e intangibili dopo la quotazione. Già nell’anno dell’Ipo gli asset fissi aumentano in misura media pari al 33,8% rispetto al capitale raccolto e gli asset immateriali aumentano mediamente del 24,8%. Dopo altri due anni l’incremento medio arriva rispettivamente al 91,4% e al 79,3%. Naturalmente si registra un incremento del patrimonio netto e

si osserva che metà delle matricole analizzate utilizza il capitale raccolto per rimborsare debiti finanziari nel breve termine; negli anni successivi, però, tutte le imprese mostrano un aumento dei debiti finanziari, quasi a voler ricostituire parzialmente il rapporto di leva pre-quotazione.

Senza sorprese, le imprese che più investono nella crescita degli asset sono anche quelle che incrementano il volume d’affari più velocemente dopo l’Ipo: il loro tasso di crescita dei ricavi annuali è in media pari a 42,8%. Anche le imprese che seguono una strategia orientata più alla ristrutturazione del debito crescono, ma più lentamente (valore medio +8,3%).

A distanza di due anni dalla quotazione, il capitale raccolto all’IPO finanzia mediamente la metà degli impieghi totali, ma anche in questo caso si osservano percorsi diversificati, con alcune matricole che utilizzano anche altri fonti di finanziamento quali il debito e aumenti di capitale successivi, e altre che fanno affidamento preponderante al capitale raccolto all’Ipo.

 

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