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di Laura Magna
Il mondo bancario rischia di essere travolto dalla forza dirompente del digitale: sono sempre più le start up che offrono servizi finanziari disintermediati, dai prestiti p2p, al roboadvising, al crowdfunding. “C’è sicuramente un grande fermento, alimentato da tre tipi di operatori – conferma a Focus Risparmio Marco Giorgino, responsabile scientifico dell’Osservatorio Digital Finance del Politecnico di Milano – ovvero start-up fintech, colossi di Internet e incumbent”.
Come contribuiscono a digitalizzare il mondo finance questi tre soggetti?
L’universo delle start up è particolarmente attivo e dinamico, anche se in termini di impatto dimensionale è ancora limitato, ma genera stimoli e spunti significativi per l’innovazione. I grandi player globali nel settore internet, motori di ricerca, social ed e-commerce, hanno un potenziale enorme nello sviluppo e nell’offerta di servizi finanziari e vanno guardati con molta attenzione. Infine, c’è tutto il settore degli incumbent, degli intermediari tradizionali, che sta evolvendo, a volte faticosamente, nella ricerca di nuove soluzioni che hanno nel digitale non uno strumento a supporto del business ma un elemento centrale del modello di business, ossia un elemento su cui il modello di business stesso è costruito.
Le strutture bancarie tradizionali sono ancora un po’ ai margini di questa rivoluzione. E molte start-up si pongono come concorrenti. Chi sopravvivrà?
Le start-up fintech (ne abbiamo censite oltre 730 a livello mondiale) sono per lo più nate per disintermediare il ruolo della banca, ossia per mettere a contatto risparmiatori, investitori e imprese, nelle esigenze di investimento e di funding, senza l’intervento dell’intermediario. Circa il 60% delle risorse raccolte da queste start-up è stato destinato allo sviluppo di servizi bancari di base, come per esempio il lending. Io, però, credo che la scalabilità di queste realtà non sarà possibile per molti e questo sarà fonte di una selezione molto forte. I grandi player bancari, soprattutto all’estero, ma in modo un po’ più limitato anche in Italia, stanno reagendo e stanno adeguando i propri modelli operativi e distributivi alle nuove esigenze. Il volume di investimenti necessari farà anche in questo caso selezione.
L’avvento della digitalizzazione è visto anche come un fenomeno destinato a cambiare radicalmente le professioni. Qualcuno teme la fine del lavoro umano in toto. Come la vede lei?
Non credo che il lavoro umano sia destinato a essere cancellato. Certamente, però, è destinato a cambiare. Immaginare che gli operatori finanziari possano servire il mercato con soluzioni digitali automatizzate lo ritengo improbabile per larga parte dei servizi. Ci sarà una diversa integrazione, con equilibri diversi a seconda del tipo di servizi, tra uomo e macchina. Pensiamo per esempio al ruolo dei robo-advisor. Sono una grande opportunità, a integrazione e non a sostituzione, per supportare le diverse fasi che compongono il processo di investimento.
A fronte di professioni che muoiono ce ne saranno di nuove emergenti. Ce le racconta? Come sarà la banca del futuro?
Per la banca del futuro tre parole chiave saranno particolarmente importanti: finanza, rischio, tecnologia. Il governo di queste tre dimensioni e l’equilibrio che potrà essere costruito potranno essere discriminanti per il successo e la sostenibilità nel tempo.
Pubblicato su Focus Risparmio di aprile-maggio 2017.