Chi soffre di più il rialzo dei tassi USA

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Sara Silano, Managing Research Editor Morningstar Italy

 

La Federal Reserve americana non ha deluso le attese e nella riunione del 15 marzo ha alzato di un quarto di punto i tassi di interesse portandoli da un range tra 0,50 e 0,75% a uno tra 0,75 e 1%. Inoltre, ha fatto sapere di volerli aumentare ancora nel 2017 e oltre. “Un calendario di questo tipo è motivato dal dissiparsi dei rischi esterni, dalla buona tenuta della creazione di posti di lavoro e da una tendenza al rialzo dell’inflazione Usa”, dice Nicolas Forest, responsabile del reddito fisso di Candriam Investors. “Benché lo stimolo fiscale di Trump resti molto incerto, l’aumento dell’inflazione è sufficientemente solido per giustificare una normalizzazione monetaria”.

 

Cosa significa per gli investitori? Quando i saggi di interesse salgono, come sta accadendo negli Stati Uniti, tutte le attività finanziarie devono cercare di aumentare i rendimenti per continuare ad attrarre gli investitori. Il reddito fisso è il caso più emblematico, perché prevede un flusso cedolare stabilito e una scadenza; di conseguenza l’aggiustamento avviene interamente sui prezzi. Per le azioni, il rapporto è meno evidente; tuttavia la sensibilità ai tassi è correlata positivamente alla stabilità del cash flow, per cui le aziende meno volatili risentono maggiormente delle fasi restrittive di politica monetaria.

 

Tassi e ciclo economico
E’ bene ricordare che i tassi di interesse tendono a salire durante le fasi espansive del ciclo economico e a scendere in quelle recessive, perché uno degli obiettivi fondamentali delle Banche centrali è quello di tenere sotto controllo l’inflazione. Un discorso analogo vale per i profitti delle aziende: quelle più sensibili alla congiuntura hanno una crescita più pronunciata dei flussi di cassa nei periodi espansivi e una maggiore contrazione quando la domanda è debole. Questo trend annulla gli effetti benefici del taglio dei tassi.

 

Strategie low volatility
Secondo alcuni studi di Morningstar, i titoli ad alto dividendo, così come le industrie più difensive e le aziende a larga capitalizzazione tendono ad essere più sensibili alle variazioni dei saggi di riferimento rispetto a low-yield, ciclici e small cap. Cosa accade se applichiamo lo stesso principio ai fondi e agli Exchange traded fund a bassa volatilità? Negli ultimi anni, sono stati lanciati prodotti di questo tipo, che fanno parte della più ampia famiglia degli strategic beta (o smart beta). Questi strumenti sono accomunati dall’intento di voler migliorare il profilo di rendimento o di rischio rispetto ai benchmark tradizionali. Gli indici di riferimento possono essere assai diversi tra loro, ma tutti tendono a fare peggio nei periodi di crescita dei saggi di riferimento e meglio in quelli di discesa, come si può vedere a titolo di esempio dal confronto tra l’indice S&P 500 Low volatility e il “cugino” standard.

 

Crescita di 10.000 dollari investiti sull’S&P 500 e l’S&P 500 Low Volatility dal 1990 al 2016 (fonte: Morningstar Direct)

 

tabellaUn miglior profilo di rischio/rendimento

Mettere in portafoglio strumenti low volatility, tuttavia, rimane una buona scelta per gli investitori di lungo periodo, perché resistono meglio ai ribassi delle Borse e quindi possono, a parità di altre condizioni, produrre migliori risultati corretti per il rischio nel tempo.

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