28 mar 2017
7 min
di Fabrizio Fornezza, Presidente Eumetra MR
Il nuovo consumatore
Siamo cambiati. La crisi ci ha indurito ed allenato. Talvolta ci ha reso anche paranoici: ricevendo nuove proposte commerciali, cerchiamo subito “la cattiva intenzione”, l’interesse privato dell’azienda che ci propone la novità. La crescita della cultura ci ha resi clienti più critici e indipendenti. La connettività digitale ci spinge ad una interazione sociale molto più ampia e profonda, che spesso usiamo per esercitare spirito critico, controllare proposte, leggere recensioni di aziende. Siamo diventati più incomprensibili ed imprevedibili: le aziende pensano di poterci leggere attraverso le loro categorie (classiche e “digital”): noi sfuggiamo. Diciamo di essere contenti, ma, per una apparente minuzia, siamo capaci di abbandonare una azienda. Sopportiamo meno – in politica come in economia – le proposte calate dall’alto anche (e soprattutto) quando accompagnate da comunicazione accattivante e un filo manipolatoria. Anche le proposte con intenti riformisti; l’ultimo referendum costituzionale insegna.
Malgrado questa durezza, siamo pronti a valutare le proposizioni che sono effettivamente in grado di portare benessere nella nostra vita: cerchiamo spesso una vita più sana, serenità, società e comunità meno conflittuali. L’atteggiamento cauto ed una certa sfiducia creano – paradossalmente – accumulo di risorse, come dimostrano i dati degli ultimi mesi sull’accumulo e la tesaurizzazione del denaro delle famiglie italiane. Resta debole la capacità di pianificare il futuro, resta bassa la propensione all’investimento, così come quella al consumo ed agli acquisti.
Infelici, alla ricerca di speranza
Il nuovo consumatore non è felice, troppa complessità, incertezza ed insicurezza albergano nella sua vita. Solo il 31% degli italiani si dichiara soddisfatto della propria vita. Gli elementi di maggiore felicità: il proprio animale domestico (82%), seguito dalla famiglia (71%) e dalle vacanze (63%). Fra le relazioni che meno entusiasmano: i colleghi (27%), a riprova di una vita in azienda non particolarmente felice, e i vicini di casa (24%), come peraltro insegna l’esperienza di tante riunioni di condominio. Il dato di per sé è allineato alle analisi sul consumer sentiment o l’indice BES di Istat (gli indici pubblici sulla felicità e serenità degli italiani).
Migliorare la vita delle persone come obiettivo prioritario di una Marca?
Possiamo curare l’infelicità degli italiani? Le marche e le aziende possono essere parte di questa cura? La ricerca Eumetra MR sul “Benessere degli Italiani” risponde di sì ad entrambi i quesiti. E per farlo ci indica anche i fattori primari della cura di benessere da praticare al Paese.
Il primo ed il più importante: la marca che riesce in qualche modo a portare miglioramenti intervenendo sulle risorse economiche, sulle opportunità professionali o sulle competenze degli italiani è di certo massimamente benemerita. E’ una missione impossibile? Non proprio. Anzi, proprio il settore della gestione professionale del denaro sembra potenzialmente avvantaggiato rispetto ad altri, malgrado la reputation non proprio cristallina[1]. La capacità di generare dal bilancio famigliare denaro aggiuntivo attraverso risparmi[2] o attraverso una gestione più intelligente del denaro e delle sue allocazioni dovrebbe essere il primo compito nella mission di una Financial Firm. Così come creare competenze utili ad una migliore gestione del denaro. Forse, queste competenze utili al risparmiatore sono anche molto diverse dalla financial education classica, più finalizzata ad insegnare al consumatore finanziario il linguaggio tecnico dell’offerta, che a formare nuovi cittadini consapevoli e liberi nella gestione del denaro.
Un altro modo è quello di supportare le persone nelle loro strategie di lifestyle, occuparsi di loro, dei loro obiettivi e valori, sogni e desideri. Anche questa sembra una missione impossibile per la nostra industria del denaro? Crediamo di no. In fondo le nostre ricerche sull’innovazione finanziaria ci mostrano ampi spazi per una integrazione di prodotti sulla sicurezza della casa o della salute della persona e tecnologia (IOT, wearable, etc.) che risponda concretamente alla domanda di benessere degli italiani.
L’istituzione finanziaria e la cura della felicità
Come detto, il settore finanziario ha i suoi problemi in fatto di reputazione, alcuni storici, altri più recenti. Ma quello che colpisce ragionando con le persone è il fatto che la “Banca” (e non solo lei, Finanza ed Assicurazione sono su piani simili) sia sotto tiro per la sua assenza, più che per la sua presenza. Sembra un paradosso: mentre si discute di quando le Fintech uccideranno definitivamente la forma Banca, gli italiani si trovano a sostenere che oggi “c’è bisogno di più Banca”, non del suo contrario. Certo, di una banca diversa e su questa diversità gli italiani hanno le idee abbastanza chiare. La banca deve essere trasparente e sincera. La banca deve dare consigli nell’interesse del cliente. La banca – prima di parlare – deve saper ascoltare. La banca deve (tornare a) proteggere il denaro delle persone, deve prendersi in carico lo sviluppo del territorio in modo eticamente ed economicamente sostenibile. Non è una richiesta di maggiore CSR (corporate & social responsibility) in senso classico. E’ la richiesta di portare la CSR nel cuore della propria attività caratteristica. Di cambiare processi e meccanismi, portando la sostenibilità ed il patto con i clienti nel cuore pulsante del proprio business: prezzo, prodotti, servizio, gestione delle risorse umane.
La consulenza finanziaria e la cura dell’infelicità
Se questa è la sfida per la marca, la sfida passa molto attraverso le persone che la marca rappresentano: i consulenti finanziari in primo luogo al di là di ogni definizione ed inquadramento contrattuale. Le ricerche svolte provano che la buona consulenza non solo genera soddisfazione nel cliente, ma migliora e di molto il suo benessere. L’indice di felicità individuale per i clienti finanziari che hanno a disposizione un consulente professionale è almeno del 20% più alto di quello della media della popolazione. E non è un problema di ricchezza, l’infelicità e la felicità sembrano abbastanza equidistribuiti. Banale dirlo: il denaro da solo non crea felicità. E’ la percezione di controllo sul proprio denaro, la riduzione dell’ansia, la capacità di gestire i bias cognitivi ed i black out emozionali tipici di un essere umano alle prese con il proprio denaro, la capacità di connettere il denaro ai progetti ed ai sogni della famiglia. Il valore della buona consulenza sta qui. Non nell’emulazione del lavoro di un gestore o nel padroneggiare con eleganza il linguaggio esoterico della finanza. Lo dimostrano anche gli studi recenti: il ROI della consulenza, misurato per il cliente sui risultati effettivi sul suo denaro, sta proprio in quelle componenti del servizio[3], quelle più vicine alle persone, alle loro passioni, ai loro sogni e difetti. Al loro benessere, in altre parole. Possiamo dire che in presenza di buona consulenza l’emozione e la ragione vanno a braccetto. Vale la pena di rinforzare questa buona consulenza, per il bene delle famiglie e della stessa industria finanziaria. La buona consulenza così descritta richiede in una certa misura nuove competenze, ma soprattutto consulenti appassionati più che di finanza di persone e benessere dei clienti.
[1] Purtroppo finanza, banche ed assicurazioni non stanno in testa alle classifiche reputazionali in Italia (e non solo in Italia).
[2] Il caso delle comunicazioni delle compagnie online che promettono di creare fino a 500 € di risparmi da impiegare nel proprio tempo libero è paradigmatico
[3] The Value of Financial Advice W.Pfau e-book 2015; Alpha, Beta, and Now…Gamma D. Blanchett & P.Kaplan, Morningstar USA, 2013